| Italo Calvino diceva che i bei libri continuano sempre a raccontare, ogni volta che vengono letti e riletti. Così è stato anche per Pinocchio in mano a Comencini. Ho litigato quasi a sangue per Pinocchio al liceo, proprio a proposito della versione di Comencini, perché qualcuno lo bollò come letteratura minore, per ragazzi. Ed è invece un racconto iniziatico nel disincantato mondo più che mai attuale di un bambino che vuole perdere i fili da burattino. Quale paese è più attuale di quello di Acchiappacitrulli e del Paese dei Balocchi? Bella fu pure la rivisitazione in musica di Eduardo Bennato. Ma l'interpretazione di Comencini ha un asso che si chiama Manfredi che fa la differenza determinante: il Geppetto che ci ha regalato è più umano di qualsiasi uomo, più padre di ogni padre, più puro di ogni santo laico, più poeta di ogni poeta. Un grazie particolare a dandy rotten, che ha ricordato la meravigliosa autenticità (ed attendibilità secondo la regola marinaia del res nullius) di un Geppetto che prende pezzi di relitti (quale metafora dell'Uomo Moderno!) e senza chiedere altro parte a remi per "le lontane Americhe" per ritrovare il suo unico bene. La carica emozionale, drammatica che Nino trasmette in questa assurda iconografia commuove fino al pianto a solo pensarci. E la canzone finale... quale voce migliore, quale grazia avrebbe potuto rendere così lieve tanta solitudine, tanta desolazione però serena e mai rassegnata, capace di trovare la vita persino in un pezzo di legno avuto in elemosina? Nino, in questo sceneggiato, è alle vette somme dell'arte drammatica. Ecco, una volta in Tv, si facevano queste cose, invece dei grandi fratelli, dei pacchi, delle risate registrate in strisce e di altra fanghiglia sparata a reti unificate. E a mettere in scena, appunto, la grande letteratura, c'era Nino, che non faceva né il prete né ilmedico né il maresciallo... faceva solo un falegname. Scusate se è poco
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